Quando non è solo una questione di resilienza, di successo e di fallimento.
Prendermi un po’ di tempo prima di mettere nero su bianco i miei pensieri e le mie riflessioni su questa vicenda è stato necessario e, per chi mi conosce un po’, inevitabile.
È già trascorsa più di una settimana dalla conclusione della spedizione di Simone al Manaslu e per me sono trascorsi giorni di silenzio, di riflessione e di chiarezza nei pensieri e nei sentimenti.
Come spesso accade le cose si sono mosse all’improvviso e molto velocemente e mentre arrivavano le notizie sentivo chiaramente che dentro di me non c’era spazio per le emozioni, non riuscivo a provare delusione o rabbia per il “fallimento” del quinto (quinto!!!) tentativo di Simone e non riuscivo a provare felicità per il “successo” di Alex e del resto del team.
Nel concitato susseguirsi degli eventi c’era spazio solo per controllate (dopo 24 anni sono controllate per forza) preoccupazioni:
per la decisione di Simone e Alex di tentare la vetta così presto, poi per le condizioni di salute di Simone e di conseguenza per Alex e il resto del team che rimangono lì soli (mia personale prospettiva). Poi subentrano preoccupazioni “tecniche” per il dislivello così importante del tentativo di vetta, e per la stanchezza come compagno di viaggio della discesa, una stanchezza che, visto lo sforzo, non può essere né ignorata né sottovalutata.
Qui voglio essere onesta, la prima emozione che mi colpisce per davvero è il giramento di palle. Immagino la foto di vetta senza Simone e lo percepisco chiaramente. Ripensandoci ora credo anche che sia un passaggio inevitabile vista la mia storia così intrecciata e partecipata con le spedizioni e le imprese di Simone.
Poi torna comunque prepotente la preoccupazione, sono a migliaia di chilometri e non ho ancora parlato con nessuno, per me è sempre stato così (anche con l’impresa del Nanga) vetta o non vetta gli avvenimenti e le notizie diventano reali e prendono forma solo dopo che sento la voce di Simone al telefono.
Quando finalmente riusciamo a parlare lui è a Kathmandu in attesa di tutti i controlli necessari in ospedale.
La sua voce è ferma, serena e gioiosa. Sentirlo così mi rasserena e mi riempie di orgoglio:
è sempre Simone, capace di passare sopra al peggio alla velocità della luce e capace di sinceramente gioire per i successi altrui, anche quando sono parte di un suo fallimento.
Cerco di accodarmi al suo sentire: Alex Txicon, Chhepal Sherpa, Tenjen Lama Sherpa, Pasang Nurbu Sherpa, Mingtemba Sherpa, Pemba Tasi Sherpa e Gyalu Sherpa meritano di essere accolti con gioia e Simone merita tutto il mio rispetto e la mia stima, a prescindere dalla girandola di emozioni che mi attraversa qui dall’altro capo del telefono.

Ed è qui che capisco che è il momento per me di fare una pausa, mi impongo di restare in silenzio, di mettermi in ascolto delle mie emozioni, di riflettere. Voglio dare la possibilità alle cose importanti di emergere dal caotico groviglio che ora percepisco dentro di me, mi metto in attesa e aspetto, come mi piace dire, che gli gnocchi vengano a galla.
Come sempre il momento della chiarezza arriva e alcune riflessioni preziose prendono forma dentro di me:
- alla fine la resilienza non è tutto;
- non si tratta solo di successo (per Alex & team) o di fallimento (per Simone);
- si tratta di estrema lucidità non solo nel rinunciare a continuare la salita e invitare il resto del team ad andare avanti senza di lui (nonostante fosse di diritto la sua salita, e questo lo dico io senza problemi, è la mia voce e la mia opinione);
- guardando il tutto con il grandangolo, si tratta di “io e gli altri” nella situazione più difficile dove un momento di gioia assoluta per “gli altri” corrisponde un momento di delusione per “io”;
- non viverlo come delusione e trasformarlo in gioia condivisa (senza abbraccio in vetta), è cosa davvero per pochi.
Poi anche Simone mi rassicura e porta ulteriore chiarezza dentro di me:
“Alex & team erano disposti ad aspettarmi un paio di giorni a campo 2, sono io che gli ho detto che non potevano perdere la possibilità della vetta nella finestra di bel tempo.”
Ed ecco finalmente che trova spazio dentro me anche la gioia. E con lei un’ultima cruciale consapevolezza preziosa:
6. per far sì che il lavoro di squadra sia concreto, funzionale ed efficace la capacità di dare fiducia e rispetto, e la disponibilità ad essere di supporto sono fondamentali. E ancora più importante è che tutto questo sia condiviso da tutti e verso tutti i componenti di un team.
Un lavoro di squadra non può mai essere a senso unico!
Bravi Alex & team! Chapeau Simone!
Marianna Zanatta