Non chiamatemi Jerry

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Se la domanda è “Cosa fai?“, la mia risposta di solito è “Sono consulente di sports marketing e manager di atleti; sono specializzata nel mondo outdoor.” Ma alla domanda “Esattamente tu cosa fai?”, succede questo:

  1. se so che non è una domanda veramente interessata, la mia risposta è automatica: “Dal lato azienda aiuto a costruire e a gestire il programma di sponsorizzazioni, dal lato atleta aiuto a definire meglio la propria immagine, a gestire i propri canali di comunicazione e a interagire con sponsor, media, fan”;
  2. se invece non è poi così interessata, ma più una cortesia, e lo intuisco, per qualche istante, prima di rispondere, vago tra le immagini del mare di cose che quotidianamente faccio e porto avanti, che sia per l’azienda o che sia per l’atleta.

Lo stesso accade quando qualcuno mi dice che vorrebbe fare il mio lavoro. Perché la prima cosa che mi viene in mente è:

“Sì sì, se sapessi cos’è veramente, non lo vorresti.”
Ok, questo è un pensiero melodrammatico ma fa capire anche a me che quello che appare è diverso da quello che è.

Ci sono momenti davvero unici ed entusiasmanti, che ne so: l’evento dell’anno de La Gazzetta dello sport con le celebrità di tutti gli sport, piuttosto che la première del Banff Film Festival, la presentazione di un libro, oppure le riprese di un nuovo film, il servizio fotografico, l’intervento del tuo atleta a una convention aziendale di fronte a mille persone, il contesto formativo con 30 manager, il pranzo all’aperto in una giornata di sole al castello di Messner con i più grandi alpinisti al mondo.

I momenti che di solito mostro sui social.

E poi ci sono momenti, nascosti, tipo la settimana scorsa, che è stata una di quelle settimane in cui non ho tempo per pranzare, in tutto il santo giorno non bevo un bicchier d’acqua (me ne dimentico), piangerei se solo avessi un buco in agenda, vado a letto con un pensiero e mi sveglio con l’evoluzione dello stesso, insomma proprio bene non dormo.

Sono quei momenti in cui ho l’esatta percezione del valore del mio lavoro, sia di cosa si tratta, nel concreto, sia della sua importanza: l’importanza di un dietro le quinte funzionante.

Agganciandomi al ricordo ancora fresco, quindi alla domanda “che cosa fai esattamente?”, rispondo:

A. Nei giorni di flusso normale, metto in campo la mia creatività e pianifico il futuro (a medio termine, i miei atleti non vogliono sentire parlare del lungo, dicono che nel lungo siamo tutti morti), creo piani d’azione, implemento i piani d’azione, gestisco la mia agenda e quella degli atleti, controllo e aggiorno i canali social, rispondo alle telefonate, scrivo email, insomma dialogo con i partner e con quelli potenziali, aziende, società di formazione, giornalisti, i fan, trovo soluzioni ai problemi.

Sono assistente di direzione, negoziatore, service manager, direttore marketing e comunicazione, pr, agente, confidente, avvocato, diplomatico.

Tutto quello che probabilmente fate e siete anche voi nel vostro lavoro.

B. Nei giorni di crisi, gestisco la mia agenda e quella degli atleti, controllo e aggiorno i canali social, rispondo alle telefonate, scrivo email, insomma dialogo con i partner e con quelli potenziali, aziende, società di formazione, giornalisti, i fan, trovo la soluzione ai problemi, ascolto tutti, trovo la soluzione ai problemi, mantengo l’autocontrollo, trovo la soluzione ai problemi, cerco di far felici tutti (anche se so che di solito è un boomerang), trovo la soluzione ai problemi.

Sono assistente di direzione, negoziatore, service manager, direttore marketing e comunicazione, pr, agente, confidente, avvocato, diplomatico.

Tutto quello che probabilmente fate e siete anche voi nel vostro lavoro.

Se tutto questo lo fate anche voi con il vostro lavoro, ne deriva che il mio lo potete fare anche voi, giusto?

In linea di massima sì. Cosa ci vuole in più? (e questo è ciò che dico alle aziende che mi chiedono chi sceglierei come manager degli atleti):

  • Voglia di farlo.
  • Amarlo e perseverare nell’amarlo.
  • Adattarsi a vivere senza punti fermi (chi ve li da se il lavoro ve lo siete inventati?).
  • Non sentirsi in colpa per essere una consulente pagata per fare consulenze spesso non ascoltate.
  • Non essere vittima di schemi tradizionali (es. orari e giorni di lavoro – qui funziona il 24 ore 7 giorni su 7 – o es. “questo non è nel mio mansionario”, se serve ramazzare si ramazza!).
  • Amare vendere gli altri e se stessi ed essere pagati (e 1. vendere se stessi è più difficile di vendere gli altri; 2. se non vieni pagato per ciò che fai non è un lavoro, è un hobby).
  • Amare negoziare.
  • Una grande capacità relazionale (verso l’alto e verso il basso – davvero crediamo all’esistenza della linea orizzontale?).
  • Una grande capacità comunicativa (che chiamerei anche generosità).
  • Una grande capacità di problem solving.
  • Una grande capacità di andare avanti senza feedback (se va bene senza feedback positivi e senza negativi, se va male senza i positivi e basta).
  • Una grande capacità di stare un passo indietro (anche quando sarebbe meglio per tutti stare un passo avanti).
  • Una grande capacità di fare da parafulmine, quando non è proprio da capro espiatorio.

Sì certo anche:

  • Un background in marketing e comunicazione,
  • magari nello sport,
  • ma se è nell’auto-motive, nella grande distribuzione, nella moda, eccetera, forse è anche meglio (evviva la contaminazione!).

Avete presente l’agente sportivo Jerry Maguire? Ecco il mio lavoro è anche quello, ma in parte, e solo dalla crisi di autocoscienza (di Jerry) in poi.

N. B. E poi quando un atleta mi chiama solo per dirmi che mi vuole bene, può anche venirmi il dubbio che sia un po’ parac…, ma vado lo stesso in brodo di giuggiole e facilmente mi dimentico dei giorni meno facili.

Forse questa non è facilmente riconoscibile come competenza da “pro”, è anche difficile da mettere in un CV, ma

“E’ SENZ’ALTRO UNA ABILITA’ CHE FA DURARE A LUNGO LE RELAZIONI, ANCHE DI LAVORO.”

E non è un punto importante questo? O ci basta servirci del concetto solo come citazione del giorno su un post di Facebook?