Giovedì primo dicembre ho avuto la bellissima opportunità di fare un intervento dal vivo (evviva!) sul palcoscenico del programma AP di Ambrosetti TEH a Udine insieme a un campione dello sport italiano, Adriano Zanatta.
Condivido qui il mio intervento dividendolo in 5 “puntate”:
- l’ispirazione e il mio ruolo
- il talento
- il mindset
- il contesto di talento e mindset
- Take aways
Continuiamo dopo il primo articolo sull’ispirazione, con il talento.
Il Talento, vecchia e nuova visione.
Il talento è un grande tema, dibattuto in molti modi, molto spesso in abbinamento o antagonismo con il tema del farsi il c… . Io vorrei provare a mettere in discussione questo abbinamento.
Ma che cos’è il talento?
Non è stato facile trovare la definizione perché spesso la risposta rimanda a “genio”, e solo verso la terza definizione arriviamo alla parola talento.
Definizione della Treccani:
/ta·lèn·to/
-> genio 1. Nelle antiche mitologie pagane, il genio era lo spirito, buono o cattivo, che guidava il destino degli uomini […] -> Grande talento naturale: disposizione naturale.
attitudine a qualche cosa.
Io mi ritengo davvero fortunata che negli ultimi 24 anni della mia vita – metà della mia vita ma soprattutto la parte della maturazione di una certa consapevolezza di sé e degli altri – abbia potuto vivere al fianco o essere entrata in contatto a dei talenti veri. Del calibro di Adriano Panatta anche se in ambiti sportivi molto diversi e riconosciuti nel loro ambito come dei talenti grazie ai risultati oggettivi.
Simone Moro – alpinista, Manolo – climber, Killian Jornet – ultra runner, Tom Kristensen – Mr LeMans, Ivan Basso – maglia rosa, Karina Hollekim – prima female ski base-jumper, … – vi sto menzionando solo alcuni degli sportivi che hanno raggiunto il loro successo, alcuni più noti altri meno, ma che hanno raggiunto il loro risultato.
Che cosa hanno in comune?
Vi posso dire che nessuno di loro si è mai etichettato come un talento.
Eppure, a posteriori, dopo una vita di successi oggettivi quindi anche riconosciuti da una community più o meno allargata, noi che li osserviamo o abbiamo camminato dietro o al loro fianco, potremmo dire che sono dei talenti.
Ciò che hanno in comune è questo:
Hanno avuto un sogno e hanno dedicato una vita a realizzare quel sogno.
L’hanno trasformato in obiettivo, in un progetto, hanno compreso quali risorse avevano a disposizione e quali dovevano procurarsi, si sono attrezzati, cadendo e rialzandosi sono andati avanti finché ce l’hanno fatta.
Investendo in un sogno e facendosi il c…, anche se non sono nati talento, comunque lo sono diventati.
Avere un sogno unico, o comunque più grande degli altri gli ha permesso di definire abbastanza velocemente l’obiettivo o gli obiettivi legati a quel sogno.
Non solo, gli ha permesso di mantenere lo sguardo fisso lì, senza distrazioni e di accettare – più o meno facilmente – le sconfitte in vista della vittoria.
Non dico che è stato un percorso facile, anzi!, ma lineare forse sì, guardandolo almeno da lontano, sempre a posteriori, nel suo valore macro.
Voi sapete di essere/avere un talento? E io, che lo chiedo a voi, che talento ho?
Questa domanda me la sono fatta nel 2017 e dopo due decenni dello stesso lavoro.
Un po’ tardi…
Capite bene che chiedere a me stessa qual è il mio talento, dopo venti anni di vita professionale, equivale a
“chi cacchio sono io in questa vita?”
E vista l’età in cui me la pongo potrebbe anche essere deprimente come domanda…
Non è una domanda facile soprattutto se la risposta è BOH!
La cartina tornasole di questa mia risposta è il timore che ha mia mamma che qualcuno le faccia la domanda “Che cosa è o fa tua figlia?”.
Capite bene anche che circondata da talenti riconosciuti oggettivamente, mi sono fatta questa domanda in mood papero sfortunato…
Loro supereroi e io, al massimo, Paperinik.
Che ha fatto cose, visto luoghi, incontrato gente… forse “salvato” qualcuno… Forse!
Se io avessi continuato a cercare di capire che talento ho basandomi sui talenti con cui per lavoro avevo e ho a che fare – quindi vicini a me, a portata di mano – li avrei usati come specchio deformante che avrebbe mostrato solo un papero sfigato,
E non sarei mai arrivata a capire in ogni caso che tipo di talento sono, mettendo almeno in conto di averne uno di un qualche tipo, magari non facilmente identificabile.
Il bello di porsi delle domande, seriamente, è che dopo un po’ che il seme è interrato una risposta inizia a crescere.
Ho dovuto imbattermi in un ornitorinco e vedermi ornitorinco allo specchio per capire che c’è un’altra via per la realizzazione di sé, in un certo senso c’è un significato più esteso e più alto di talento.
Sapete chi è l’ornitorinco?
È un animale che ha becco e zampe da papera, una coda da castoro, una pelliccia da nutria, è un mammifero ma depone le uova per poi allattare i cuccioli… e sono solo una parte delle sue stranezze… o unicità.
Se volete saperne di più questo il mio talk sull’ornitorinco.
Uno dei punti chiave del talk è questo:
“I filosofi hanno assunto l’ornitorinco come perfetto esempio di tutto ciò che non è classificabile e di conseguenza, nella nostra mente prima e nella società poi, se qualcosa non è classificabile non esiste, o al massimo se anche esiste comunque non è da prendere ad esempio.“
Cavolo! Sono un ornitorinco! Sono Ornitorianna! Non sono classificabile!
Forse questo è poco importante, ma di sicuro spiega perché mia mamma ha difficoltà a dire che cosa sono, cosa faccio.
Se i miei atleti hanno avuto un sogno, lo hanno trasformato in un obiettivo, hanno creato un percorso di successi e fallimenti, si sono fatti il c… sono arrivati ad essere riconosciuti come un talento…
Io cosa ho fatto?
Probabilmente, almeno in parte, ho fatto esattamente come i miei atleti solo che, invece di andare in una direzione precisa, ho esplorato più vie.
Ho avuto più sogni e più obiettivi con un rischio annesso: quello della dispersione di energia…
Tra i tanti sogni, ho avuto anche sogni poco identificabili con un obiettivo:
es. voglio parlare inglese, voglio vivere nel mondo (meno male che almeno questi due sono funzionali uno all’altro…) sono sogni che hanno bisogno di un sogno e di un obiettivo specifici per diventare possibili…
Cosa ho fatto?
Ho sognato tanto, fissato obiettivi diversi, mi sono fatta il c…, eccetera eccetera esattamente come i miei atleti, però mi sono incamminata in direzioni diverse, con qualche complessità in più…
Il fatto di non aver chiaro che talento avessi o un sogno grande unico mi ha bloccato?
NO ho fatto lo stesso!!! (Vi ricordate? Il mio mantra è CHI SE NE FREGA, FACCIO!)
Solo di recente – a metà del 2022 – grazie all’amica Elena, sono arrivata a comprendere di essere una multipotential person – e questo è un titolo che in qualche modo mi classifica (evviva!), Ma aldilà di essere alla fine classificabile, come ho agito?

Come sono arrivata ad essere chi sono adesso?
A 50 anni, ho unito i puntini, ho composto il puzzle.
Unire i puntini è un’operazione che la nostra mente fa a un certo punto – post narrative – perché ne ha bisogno perché ha bisogno di ordine e questa operazione è utile non solo per te stesso – avere un senso, dare un significato alla propria vita, al proprio percorso – direi che è un bisogno primario – ma anche per la narrazione di te che ti serve per il mondo.
Mica puoi andare in giro a dire “Piacere io sono un ornitorinco, un puzzle di pezzi diversi che alla fine si compongono”…
E poi il punto è un altro.
Davvero ci sono persone graziate dal cielo che hanno il “genio” e persone che non ce l’hanno?
Per rispondere a questa domanda, ci viene in aiuto conoscere che oggi esistono due visioni del talento.
Visione vecchia del talento: esclusiva
La vecchia visione del talento, considera il talento una cosa per pochi, esclusiva, poi è normativa – c’è chi definisce e giudica un talento, ed è superficiale nel senso che i criteri di definizione del talento si limitano a valutare competenze e risultati (saper/essere capace di fare e fare).
Visione nuova del talento: inclusiva
La nuova visione del talento si dice inclusiva perchè considera anche i tratti attitudinali e cognitivi (fa una valutazione dell’individuo anche rispetto all’interazione con il mondo), è identity-driven considera le caratteristiche personali (personalità, carattere, propensione…) ed esistenziale – è legato all’essere, al volere, all’osare, al poter fare e fare.
A questo punto, questa inclusività determina che anche chi non ha un talento specifico, unico, riconoscibile e riconosciuto ha un talento.
E qual è il talento di chi non ha un talento?
È il set di capacità che fanno parte dell’identità:
- esperienze
- network
- abilità varie
- capacità di connettere i puntini
…
Parlando di identità globale, non specifica relativa a un obiettivo unico e specifico c’è da sottolineare un’altra questione importante, che è una bella notizia:
I pezzi diversi che compongono l’identità – privata, personale e professionale indifferentemente – diventano amplificatori e ottimizzatori di questo set di capacità e allunga la lista delle capacità!
Tutto quello che sono e faccio nella vita diventa strumento – abilità, conoscenza, o altro – tutto il mio essere è a disposizione di ciò che faccio e del risultato che voglio ottenere.
Un circolo virtuoso insomma!
Pensateci bene allora, prendetevi un attimo per riflettere su voi stessi.
Adesso che sapete di questa nuova visione del talento:
vi sentite ancora Paperinik o un ornitorinco, pure più felice?
Che bella l’evoluzione!
Marianna Zanatta